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Non si riconosceva più, tanto che lo stesso don Gesualdo rimase sconcertato. Ora cercava di pigliarla colle buone, vinto da uno sconforto immenso, dall’amarezza di tanta ingratitudine che gli saliva alla gola, colle ossa rotte, il cuore nero come la pece.

— Avete ragione!... Io sono il tiranno! Ho il cuore e la pelle dura, io! Sono il bue da lavoro... Se m’ammazzo a lavorare è per voialtri, capite? A me basterebbe un pezzo di pane e formaggio... Vuol dire che ho lavorato per buttare ogni cosa in bocca al lupo... il mio sangue e la mia roba!... Avete ragione!...

Bianca volle balbettare qualche parola. Allora egli si voltò infuriato contro di lei, con le mani in aria, la bocca spalancata. Ma non disse nulla. Guardò la figliuola che si era appoggiata tutta tremante alla sponda del lettuccio, col viso gonfio, le trecce allentate; allora lasciò cadere le braccia e si mise a passeggiare innanzi e indietro per la camera, picchiando le mani una sull’altra, soffiando e sbuffando, cogli occhi a terra, quasi cercasse le parole, cercando le maniere che ci volevano per far capire la ragione a quelle teste dure.

— Via via, Isabella!... E’ una sciocchezza, capisci!... E’ una sciocchezza guastarsi il sangue... Non voglio guastarmi il sangue... Ho tanti altri guai! Ci ho il cuore grosso!... Vorrei che tu vedessi un po’ quanti guai ci ho in testa!... Ti metteresti a ri-