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drà pel viale colle cavalcature, e noi da questa parte, per far più presto.

Don Gesualdo capì subito, e non se lo fece dire due volte. Andavano in silenzio, lungo il muro, quasi ci vedessero al buio. A un certo punto l’Orbo accennò delle pietre sparse per terra, una specie di breccia fra le spine che coronavano il muro, e disse piano: — Vedete, vossignoria? — L’altro affermò col capo, e scavalcò il chiuso. Nanni l’Orbo coll’acciarino accese un zolfanello e andarono seguendo le pedate passo passo, sino alla casina. Sotto la finestra di donna Isabella l’Orbo additò in silenzio l’erba ch’era tutta pesta, quasi ci si fossero davvero sdraiati degli asini.

— I cani poi come fossero alloppiati! — osservò compare Nanni con quel fare misterioso. — Se non ero io, che ho l’orecchio fino... Dicevo a Diodata: Finchè manca il padrone bisogna stare coll’orecchio teso, per guardargli le spalle... Allora ho mandato Nunzio sul ponticello, mentre io con Gesualdo arrivavo dalla parte del palmento... Sissignore dov’è alloggiata donna Sarina col nipote... Se i cani sono stati zitti, dicevo fra di me...

— Va bene. Adesso taci. Di lassù potrebbero udirti.

Il giorno dopo, ricevendo le visite di condoglianza, vestito di nero, colla barba lunga, appena donna Sarina ebbe fatto l’elogio del morto e del vivo, asciugandosi gli occhi, rimboccandosi le maniche per cor-