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— Perchè?... perchè non mi lasciate entrare?... Che ho fatto?... — Essa tremava così che i denti facevano tintinnare il bicchiere, quasi fuori di sè, fissando addosso alla gente gli occhi spaventati.

— Lasciatemi! lasciatemi entrare!

Lo zio marchese si affrettò a cavare il fazzoletto, per asciugarle tutta l’acqua che si era versata addosso. Il barone Mèndola e la zia Macrì stavano discorrendo nel vano del finestrone: — Una malattia lunga!... Tutti così quei Trao!... non c’è che fare!...

— Guarda! — esclamò il barone che stava da un po’ attento. — Hanno aperto un finestrino sul mio tetto... laggiù!... quel ladro di Canali!... Fortuna che me ne sia accorto! Lo citerò in giudizio!... una citazione nera come la pece!...

— Don Luca! don Luca! — si udì gridare. L’uscio si spalancò a un tratto, e comparve don Ferdinando, agitando le braccia in aria. Don Luca corse a precipizio. Successe un momento di confusione: delle strida, delle voci concitate, un correre all’impazzata, donna Agrippina che cercava l’aceto dei sette ladri, gli altri che stentavano a trattenere Bianca, la quale faceva come una pazza, con la schiuma alla bocca, gli occhi che mandavano lampi, e non si riconoscevano più.

— Perchè?... perchè non volete? Lasciatemi! lasciatemi!... lasciatemi entrare!...