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dinando scese per comprare l’immagine del santo, gonfio d’asma, cogli occhi arsi di sonno, piegato in due le mani nerastre tremanti così che non trovavano quasi nel taschino i due baiocchi per l’immagine. Il procuratore di San Giuseppe, che dirigeva la processione, gli disse:

— Vedrete quant’è miracolosa quell’immagine! Tanta salute e provvidenza a tutti, in casa vostra!

E gli affidò anche il bastone d’argento del santo, da metterlo al capezzale del malato: un tocca e sana. Eppure non giovò neanche quello.

Compare Cosimo e Pelagatti, partendo per la campagna due ore prima dell’alba, o tornando a notte fatta, vedevano sempre il lume alla finestra di don Diego. E il cane nero dei Motta uggiolava per la piazza, come un lamento. Poi, verso nona, bussava al portone il ragazzo di don Luca, portando un bicchiere di latte. Di tanto in tanto veniva don Giuseppe Barabba, con un piatto coperto dal tovagliuolo, o il servitore del Fiscale che recava un fiasco di vino. A poco a poco diradarono anche quelle visite. L’ultima volta il dottor Tavuso se n’era andato scrollando le spalle. I ragazzi del vicinato giuocavano tutto il giorno dietro quel portone che non si apriva più. Una sera, tardi, i vicini, che stavano cenando, udirono la voce chioccia di don Ferdinando chiamare il sagrestano, lì dirimpetto: una voce da far