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dopo ch’erano passati. Il canonico comparve infine sul portoncino, abbottonandosi la sottana.

— Eh? eh? don Gesualdo? Eccovi qua... eccovi qua!...

Don Gesualdo s’era fatta una faccia allegra per quanto poteva, colla febbre maligna che ci aveva nello stomaco.

— Sissignore, eccomi qua! — rispose con un sorriso che cercò di fare allargare per tutta la faccia scura. — Eccomi qua, come volete voi... ai vostri comandi... Però, dite la verità, voi parlate col diavolo, eh?

Il canonico finse di non capire: — Perchè? pel ponte? No, in fede mia! Mi dispiace anzi!...

— No, no, non dico pel ponte!... Ma andiamo di sopra, vossignoria. Non son discorsi da farsi qui, in istrada...

C’era il letto ancora disfatto nella camera del canonico; tutt’in giro alle pareti un bel numero di gabbioline, dove il canonico, gran cacciatore al paretaio, teneva i suoi uccelli di richiamo; un enorme crocifisso nero di faccia all’uscio, e sotto la cassa della confraternita, come una bara da morto, nella quale erano i pegni dei denari dati a prestito; delle immagini di santi qua e là, appiccicate colle ostie, insudiciate dagli uccelli, e un puzzo da morire, fra tutte quelle bestie.