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Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall’alto un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone sconquassato, col naso in aria. Tutt’a un tratto si udì sbatacchiare una finestra, e una vocetta stridula che gridava di lassù:

— Aiuto!... ladri!... Cristiani, aiuto!

— Il fuoco! Avete il fuoco in casa! Aprite, don Ferdinando!

— Diego! Diego!

Dietro alla faccia stralunata di don Ferdinando Trao apparve allora alla finestra il berretto da notte sudicio e i capelli grigi svolazzanti di don Diego. Si udì la voce rauca del tisico che strillava anch’esso:

— Aiuto!... Abbiamo i ladri in casa! Aiuto!

— Ma che ladri!... Cosa verrebbero a fare lassù? — sghignazzò uno nella folla.

— Bianca! Bianca! Aiuto! aiuto!

Giunse in quel punto trafelato Nanni l’Orbo, giurando d’averli visti lui i ladri, in casa Trao.

— Con questi occhi!... Uno che voleva scappare dalla finestra di donna Bianca, e s’è cacciato dentro un’altra volta, al vedere accorrer gente!...

— Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa, perdio!