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Napolitano che per la prima volta va a visitarli. Questo vicoletto storto, malaugurato e fetido porta il nome di Vico Chiavetta al Pendino: indarno, o lettore, ti sforzeresti di trovarlo in quell’almanacco ibero-gallo-latino di vice-regnale memoria, tranne che per qualche casualità in esso t’imbatti.
Da un’ora è passata la mezzanotte del 10 novembre 1840.
Soffia con violenza il vento di terra ne’ vecchi archi di quelle fabbriche da’ mezzi tempi, urlando come demone arrabbiato sull’addormentata città, e squassando le imposte secolari delle finestre.
Il silenzio di quella strada domina assoluto e solenne negl’intervalli che il vento mette nelle sue grida...
È l’ora in cui la generazione degl’infelici e de’ sofferenti trova nel sonno il balsamo delle sue piaghe.
Ma che cosa fa quell’uomo da costa a quel tavolo, su cui brucia il mozzicone d’una candela di sego colorata? Che cosa è gittato su quel tavolo? Cielo! una testa!.. una testa umana!.. ed il sangue è tuttavia rappreso sulla parte svelta dal tronco!... Ed un coltello... è nelle mani di colui!
Non vi spaventate... Quell’uomo non è mica un assassino... egli è semplicemente uno studente di medicina.
Allo smorto chiarore della candela rivelasi il suo volto bruno, magro, incavato e brutto.