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imperocchè io veggio vestigia di uomini: e così disputando di filosofia e geometria gli furono dati grandi doni, i quali con i compagni distribuì. Di poi dopo certo tempo volendo i compagni alla patria ritornare, domandando Aristippo ciò che voleva dicessero ai suoi compatriotti, rispose: dite che facciano comprare e acquistare ai figliuoli loro così fatte possessioni, le quali nè fortuna, nè battaglia, nè mutazione dei tempi lor possa tôrre: imperocchè questi sono i veri presidii della vita, e non siccome quelli che si stimano e credono esser felici per ricchezze e non di dottrina, e vanno errando per viaggi incerti. È un comune detto di Epicuro che la fortuna dà poche cose ai savi, e le grandissime e necessarie si governano dai pensieri dell’animo e cogitare della mente, e come recita Eucrate, Aristofane e Alessis1 che gli Ateniesi dovevano essere grandemente laudati, chè costringendo tutte le leggi dei Greci che i padri fussero nutriti dai figliuoli, solo essi Ateniesi non volessero essere nutriti se non quei padri che avessero istruiti i figliuoli di egregie e buone arti, imperocchè tutti i presenti dalla fortuna dati da quella facilmente si tolgono, ma le virtuose discipline non mancano mai, ma rimangono stabili infino all’ultimo della vita.


NB. Seguono i disegni e le dichiarazioni di quindici molini, un sifone a mantice ed uno a manubrio, con cinque macchine per alzare o tirar pesi: le quali cose furono tralasciate, siccome di poca importanza e facili a rinvenirsi presso tutti gli scrittori di meccanica del secolo decimosesto.

  1. Vitruvio, prefazione al lib. VI.