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libro iv 231

quando accadesse a fare la cupola, ovvero tolo, affinchè le navi senza impedimento possano circondare, siccome la figura ne manifesta1.


CAPO V.

Rapporto fra le larghezze e le altezze nei templi di pianta rettilinea.

Essendo in parte detto di più varie misure di templi, conveniente è il lucidare quella delle celle oblunghe e crociate, e principalmente è da sapere che la larghezza ovvero diametro da cui si piglia la proporzione delle altre dimensioni non si debba intendere sempre per tutto il vacuo a destra ed a sinistra di chi dirittamente entra nel tempio: perocchè quando il tempio oblungo fusse e con navate, delle quali la media fusse di questa natura che sopra le colonne sue i muri laterali del tempio si posasse, in questo caso il suo diametro ovvero intervallo è quello della navata media predetta, perocchè gli spazi fra le altre colonne e pareti sono riputati accidentali e fuori del principale spazio. Ma quando la chiesa fusse senza ordini o serie di colonne, tutto il vacuo transverso dall’una all’altra parte laterale s’intende essere il diametro: il quale stabilito, è da sapere che l’altezza sua debba essere insino al sommo della volta o tegumento, quant’è il diametro della larghezza e due terzi più: e la longitudine sua può essere sei o sette diametri. Sogliono i moderni fedeli ai templi oblunghi ragionevolmente aggiungere uno spazio transverso a similitudine e memoria della croce per cui la sapienza di Dio incarnarsi volle per solvere la pena che l’umana natura per sua colpa meritava, la quale nessuno puro uomo poteva sostenere e satisfare. La

  1. Poichè facile ne è l’intelligenza, si è tralasciata la figura. E qui, poichè cade in acconcio, dirò che la principale menda di codesto trattato è appunto nelle verbose discussioni de’ pretesi rapporti tra il corpo umano ed un edifizio. Questa menda ha principale origine nella servile venerazione di Vitruvio il quale, infarciendo l’opera sua di queste dottrine da sofisti più che da architetti, sparse primo il mal seme. Gli artisti poi del XV secolo, pittori, scultori ed architetti ad un tempo, d’ingegno acuto e fantasia vivissima, ed assai più abili a fare che a discutere, facilmente adattarono all’architettura quelle leggi che sono tutte proprie delle arti figurative. Da questi sofismi più d’ogn’altri si tenne lontano l’Alberti, e più d’ogn’altri vi s’ingolfarono il Filarete e Luca Paciuoli.