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138 trattato


CAPO V.

Come le città debbano essere guardate dai venti nocivi.

Nella quinta è da considerare un’altra cagione, e questa si è la natura dei venti, dove è da intendere, secondo che testifica Aristotile nella Meteora1, tutti i venti essere d’una medesima sostanza, come tutti sono esalazioni calide e secche lateralmente mosse a gran distanza, e ogni loro differenza essere accidentale, secondochè per diverse plaghe o climati mossi sono: dalla qual cosa ne segue che un vento più pernicioso dell’altro non può essere se non in quanto per alcuni luoghi passa, dove trovando molti vapori da terra elevati pestiferi, seco d’un luogo ad un altro trasporta, o veramente per mala qualità del corpo dal quale sono generati. Onde vedendosi per esperimento nelle parti massime d’Italia il vento australe molto pernicioso e infermo essere agli uomini, e non solo nelle parti d’Italia ma quasi generalmente per tutto, altro dir non si può se non che quelli dal mare Oceano (sic), o dalla Barberia, o dal mare Tirreno non piccola quantità di maligni vapori seco conducano.

Da questo vento adunque precipuamente debba l’architettore le città da edificarsi ovvero altre sue opere difendere, e massimamente nell’aere grosso dove questo vento è più nocivo; e similmente quando fosse aere sottile mediocre sopra alcun poggio il quale fosse tanto eminente che gli altri superasse, perocchè quella malignità a poco a poco ascendendo, insieme con i venti insino a detto luogo perviene.

Ma quando l’aere fosse sottile sopra ad alcun poggio il quale verso mezzogiorno precedesse alcun altro poggio più eminente, allora la città verso scilocco volger si debba, cioè fra levante e mezzogiorno. Per simil modo avvertenza si debba avere di difendere le città da situarsi nell’aere sottile dal vento chiamato borea opposto al mezzogiorno, perocchè l’austro nell’aere denso e in luoghi espediti dove non ha qualche ostacolo di monti intermedi causa diverse egritudini, così il borea

  1. Meteoron I. 13, e II. 4, 5, 6.