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spicca dalla faccia con larghe radici dilatando l’ali, e viene pian piano piramidalmente scemando infino alla sua estremitá. Caminando verso il mezo, si scontorce a guisa d’uncino alla man manca un cotal poco; e quivi è nocchioluto, bitorzoluto, tronfo, sprucchiato, rincricato, ringalluzzito con certe brognole scrofolose a foggia di limoncello. Ha nella sommitá della schiena uno scrigno

0 vogliam dir zoccolo a scaccafava, non giá incurvato all’aquilina ma elevato come l’erta dell’Appennino o del Monsanese, con un poco di scaglioppola in su la cima che gli dá grazia straordinaria. E spazioso di forge, rosso, fumante e sonoro, e le polpe del suo tenerume circa la pannocchia son tutte fatte a spicchi, divisate a quartieri e lavorate di tarsia alla zirnina di diversi geroglifici, con l’orlo intorno intorno punzecchiato di certe macchiette verdi e gialle come le scorze delle melangole e in alcune parti a vermiscelli come a melloni napoletani. Lascio i bottoncini pavonazzi

1 pater nostri di corallo, i carbonculi, le lumache et alia huius generis, di cui è tutto quanto abbordato. Taccio i porri, le cirege e le fragole che vi sguigliano e figliano tuttavia. Non parlo di quelle vene serpeggianti, piu belle che nel legname della noce, nell’alabastro cotognino o nel ciambelloto ad onde.

Che dirò poi del modello galante della sua prospettiva, il cui frontespicio nella piazza di quel vostro viso d’autunno campeggia petrarchevolmente? Egli è fatto a modo di un castello o d’una cittadella, con tanta simetria e proporzione che Bramante non l’avrebbe saputo archipenzolar meglio. Ha la cupula a vòlta, divisa però da un spartimento in due arsenali, che servono, come dire, di bastioni, di baloardi e di scannafossi all’edificio. E la base del piedestallo, che divide questi due forami, alias bocche di lambico, sporge alquanto in fuora che pare un battocchio di campana. Sotto il cornicione della tribuna si veggono i piu bei festoni e cartocci del mondo, setole di porco, moccoli di sevo, pallotole di caviaro e altre ferragini aromatiche. L’entrata delle sopradette buche è tanto spalancata che, chi ficcasse ben ben l’occhio dentro gli spiragli di quella ciarabottana, conseguirebbe l’efFetto del desiderio di Socrate senza tante finestre di cristallo nel petto, percioché vi potrebbe vedere non solo il cuore ma vi vedrebbe rilucere il pertugio dall’altra banda, si come si vede nella grotta di Mergolino. Io non credo poi che le tavole della cosmografia abbiano tante balze e scogli e valloni quante n’ ha il promontorio del vostro naso; né che la gran certosa o il serraglio del Gran Turco