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LVIII

Al signor Francesco Balducci, a Nerola


Intorno a un errore di rima commesso dal Balducci, e allo Scherzo di Parnaso composto dallo Stigliani contro il Marino.

Per mano d’uno staffiero del signor duca nostro di Santo Gemini, il quale è venuto da Nerola, ho ricevuto la vostra risposta alla mia lettera.

In essa voi mostrate d’essere nuovamente entrato in collera meco per due cagioni, ed ambe strane oltra modo, per quanto a me paia: cioè per aver io detto che quelle due parole della composizion vostra, dico «pregio» e «seggio», non fanno vera rima; e per avervi richieduto che nel principio dello Scherzo di Parnaso mi compiacciate di comporre una prefazione a’ lettori simile a quella che componeste nell’altre mie opere stampate. Quanto all’error del rimare, dite da crudo a crudo che sapete la lingua al pari d’ognuno e che non volete credermi se prima io non v’arreco la ragione. Quanto alla prefazione, dite non voler farla, perché questa mia opera è satirica, dove l’altre non erano; e che se fuste voi in mio luogo, non avreste scritto il detto libro, ma avreste risposto all’avversario piú tosto colla spada che colla penna: al che soggiungete che voi vi gloriate del non saper compor satire, piú che non mi glorio io del saperlo. Signor Balducci, io non voglio con voi star sui puntigli, il qual siete mio antico amico e domestico e vi siete al mondo dichiarato per mio parziale; ma v’aprirò piacevolmente il mio senso senza ratizzarmi, come farei con un altro.

Al primo punto rispondo che quando io discorro di lettere lo fo sempre per uno di questi due fini: o per interesse di imparar da chi sa piú di me o per caritá d’insegnar a chi sa meno. Con voi non posso ora fare né l’uno né l’altro. Non posso imparare, perché la disciplina è delle cose nuove; ed in voi non è nulla ch’a me non sia vecchio in materia di lingua, mentre quanto sapete avete da me avuto. Del che non voglio