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della secca anticaglia dei classici e del lor trito modo e della lor battuta via, si come V. S. istessa ha piú volte detto a me colle parole precise e dicelo ogni giorno a tutti. Il male è ch’io non merito ch’una si nuova eloquenza e si pellegrina si spenda inutilmente in mio onore e gloria. E molto peggio è anco ch’io intorno al mio presente replicare sto a piú tristo partito di quello a che dice V. S. di star Ella. Poiché, se V. S. lambicca le forze del suo ingegno, cava almeno qualche tal succo; ma, se io lambiccassi cento anni le forze del mio, non potrei trarne tanta sostanza che mi bastasse a ringraziar pur un merletto della frangia d’una delle fimbrie della sua gentilissima arcimusa. Ché l’«arci» si convien realmente aggiungere al nome ordinario, mentre nello scrivere tanto vale V. S. sola quanto vagliono insieme tutti gli scrittori antichi e moderni: anzi potrei dir con buona coscienza ch’Ella valesse assai di piú; ma lo taccio per non offendere la gran modestia di V. S., che non riceve le lodi avute se non sino a quel giusto segno che le par di meritare. La quale arcimusa, vestendosi loscamente d’erbette e di fiori e pascendosi di liquidi cristalli e d’aure soavi, non spira altro mai ch’arabi odori ed altro non profferisce ch’accenti damaschini e sillabe lavorate alla zemina, oltre dello sfoderar sempre concetti sfoggiati e soprafini da non pigliarsi se non colla forcina, ed oltre dello sputare a tutt’ore sentenze prelibate e da mangiarsi non altrimenti che colla mostarda o colla salsa verde. Ringrazierò dunque essa arcimusa e V. S. insieme, non giá con alcun ricercato artifizio, ma solo (per parlar tuttavia chimicamente) colla pura decozzione delle mie semplici parole, bollite nello schietto fuoco dell’amore e dell’osservanza dentro all’affettuosa pentola del cuore. Le quali parole V. S. distillerá poi sottilmente nella boccia della sua discrezione, intendendo da quel che dico quel che vorrei dire; cioè che, dove Iddio non mise cervello, non ve -ne potranno mai mettere gli uomini del mondo.

E per fine le bacio le mani.

Di Parma, 29 settembre 1616.