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Quanto alla materia, la incrostatura di fuori di San Pietro è tutta di marmo tiburtino, com’ Ella sa. Della qual materia eran fatte molte fabriche antiche, come il tempio di Giove Capitolino, di cui Livio nel sesto, se ben mi ricordo: «Capitolium saxo quadrato substructum est ; opus vel in hac magnificentia urbis conspiciendutn». E dell’istessa materia è l’anfiteatro di Tito o Colosseo, che vogliam chiamarlo: il qual per questa materia è piú riguardevole assai che non è San Pietro; perché questo ha solamente la camicia sottile di detta pietra, ma quello è massiccio, come si vede, e v’ ha per entro poca pietra cotta; nel qual proposito Ammiano dice, se non m’ inganno: «Amphitheatri moles solidata lapidis tyburtini compage»,ecc. E benché si potrebbe opporre che il Colosseo non è ugual di grandezza a San Pietro quanto allo spazio, con tutto ciò tengo ch’egli sia per la fabrica niente meno mirabile e capace di molte piú persone, standovi a seder commodamente ottantasettemila uomini, come scrive Aurelio Vittore. E per me tengo per fermo che questa fabrica sola sia per tutti i capi, fuorché per la lunghezza, assai piú magnifica di San Pietro, e piú preziosa e tanto piú mirabile quanto fu fatta in termine di quattro anni, secondoché si può raccórre da Svetonio, ch’oggidi non si farebbe in due secoli. Insomma, quanto alla materia, si può affermare che l’antiche fabriche non cedevano, anzi superavano San Pietro; il che si può giudicar non solo dal sovradetto palagio di Nerone, ma dalle pietre infinite di porfido che si trovano ogni di ne’ cavamenti ; nella qual materia non si trova oggidi né scalpelli né artefici che possan lavorare.

Quanto agli ornamenti, non v’ha paragone. Solo le statue e le colonne, che non servivano per altro che per ornato e per ispesa, superano di gran lunga San Pietro e qualsivoglia fabrica del mondo. La qual meraviglia si vedeva non solo nelle fabriche publiche e de’ prencipi, ma anche in quelle de’ privati, e fin de’ libertini. Delle quai cose si maravigliava ancor Seneca, che le vedeva ogni di, nell’epistola (se non erro) 86: «Quid cuni ad balnea libertinoruni pervenero? quantum sta tua rum, quantum columnarum est nihil sustinentium, sed in ornamentimi positarum, impensae causa!», ecc. Onde si può credere che i bagni publici, fabricati dagli imperatori, avessero ornamenti mirabilissimi, e si prova da quel che ne scrive Lipsio nel terzo De magnitudine romana, a cui mi rimetto. Fra i quali ornamenti le statue erano miracolose per lo numero e per la qualitá; e ne può far fede sol quella del Toro ,