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manifesti segni l’argomentai. Imperoché si come l’amore, affetto potente, benché ne’ piú interni ripostigli del cuore si nasconda, per gli occhi, specchi dell’anima, suole altrui trasparere; cosi l’odio, passione violenta, né sa né può celarsi nell’angusto vaso del fiele dove natura lo ristringe, ma per le azioni esteriori spesse volte trabocca.

Avvenne in questo tempo che per comandamento di V. A. mi convenne andare alle feste di Mantova con quel serenissimo prencipe. E per viaggio, invitato una sera dal signor conte d’Arò, nella sua barca vi ritrovai costui; il quale, gravido e gonfio di quel veleno che avea dianzi concetto, pertinacemente contrastando e incivilmente replicandomi, mi parve che procacciasse a bello studio occasione d’attaccarsi meco: onde mi trasse di bocca parole sconce e assai diverse da quella modestia della qual feci sempre professione.

Dopo questo successo io non udii mai piú di lui né curai d’udire novella alcuna infino al ritorno che feci a Turino: dove il Ciotti, stampatore veneziano, mi scrisse esser in Vinegia un cotal uomo comparso per voler publicare certo suo poema; e che perciò desiderava il mio giudicio se l’opera era per riuscire, e chiedeva il mio consiglio se poteva i suoi danari impiegare in quella spesa. Io, seguitando pur la solita libertá del mio genio, gli risposi quello stesso che sempre dissi di costui, cioè che i suoi componimenti erano ferrugini senza stile e senza coltura, non solo privi di tutti quegli spiriti e di quelle grazie che si richieggono a buon poeta, ma pieni di tutte quelle bassezze e di que’ difetti che possono avilire qualsivoglia poesia. Le quali cose quantunque io mi sentissi obligato a dire per non ingannar la fidanza dell’amico in materia dell’interesse, nulla di meno, s’egli non l’avesse rotta meco, non ha dubbio ch’io averei potuto o tacerle o con piú modeste parole accennarle.

Usci finalmente in luce quella sua benedetta Creazione o che che si sia, e subito le comparve dietro un sonetto burlesco e motteggevole, fatto piú per ischerzo che per pungere, poiché non conteneva cosa pregiudiciale o pertinente ad altro che al goffo e sciapito modo del suo poetare. Né sapendo egli