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CLIX

Al signor cavaliere Andrea Barbazza

Discorre della sua fortuna in Francia e del desiderio di ritornare in Italia.


Con coloro ch’io amo dadovero non uso di fare cerimonie, perché si sa che a fare una letterina piena di complimenti e di baciamani vi va poca spesa, e con le persone a cui vivo obligato non la voglio passare in parole ma servirle con fatti. Tra questi il mio caro signor cavaliere Barbazza è in capo di lista; e s’egli mi è parzialmente affezionato e difensore della mia reputazione, il che non mi è nuovo, sappia ch’io mi farei sbranar per lui, e quando spargessi il sangue in suo servigio crederei ancora di morire ingrato. Ma questi protesti cessino oggimai, di grazia, tra noi, come superflui e non necessari alla nostra vera, antica e ben fondata amicizia.

Dello stato mio, poiché me ne dimandate, non mi posso né debbo veramente dolere, poiché è molto maggiore del merito. Ho qui doimila scudi d’oro di pensione ben pagati, senza i donativi de’ quali la larga mano di questa Maestá cristianissima mi suole assai spesso onorare, si come ha fatto con mille scudi di piú per incominciare la stampa dell ’Adone, il quale senz’altro per questo verno uscirá alla luce. Né so se corrisponderá all’aspettazione: lo stile può passare per esser fiorito e venusto, ma la favola è alquanto povera d’azioni. Basta, qualunque sia, io lo spaccio al mondo per quel che egli è, né mi pare poco che vi sia qualche pezzetto da potersi leggere senza fastidio.

Con tutte queste commoditá che mi trattengono in Francia, io sento una passione d’Italia incredibile, e notte e giorno sospiro la patria, la quale mi chiama con le medesime condizioni che ho qui, purché io mi risolva di dimorarvi. Io poi vi ho fatto un cumuletto di parecchie migliara di scudi, che mi fruttano del continuo sopra que’ banchi. Cosi mi par tempo da ritirar la nave in porto e ripiegar le vele; tanto piú ch’io spero di non perdere quel che ricevo da questa corona, da cui ho avuta intenzione