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L’altro di, continuando il viaggio, vidi gran parte della Savoia; e qui passo per brevitá i vari e fortunosi accidenti di quel giorno. Lascio le cadute sdrucciolevoli, le smontate trabuchevoli. Taccio i fossati valicati, i fiumi guazzati, i disastri e le ruine. È ben vero che Ciamberi, quando la sera vi giunsi, mi parve una cuccagna, perché il signor marchese di Lanzo, che è l’assassino delle cortesie a tutti i passaggieri, olire mille regali mi fece baciar forse cento dame che parevano angioli, talché ne porto le labbra ancora tutte incrostate di zucchero.

Dopo tre giorni attraversai la strada per Grano poli e feci riverenza al signor duca di Nemurs, e di lá tirai alla volta di Lione, dove feci stampare il panegirico della regina. Oh che cittadone! Vi ha un mondo di gente, di trafichi e di ricchezze. Presi le poste infino a Roano, avendo giá cantato l’ultimo vale alla mia orecchiuta; e quivi si rinnovarono le non ben saldate piaghe del mio videlicet ut sufi/ a, onde mi parve il meglio fornire il mio camino per barca.

Cosi finalmente mi son condotto a questi vastissimi abissi di Parigi, dove me ne sto tuttavia appeso al fumo a guisa d’un prosciutto, e vi scrivo sotto il camino appresso al focolare; talché se questa mia lettera nclPaprirla vi dará un «Memento , homo» in sul mustaccio, abbiatevi pazienza, perché il freddo mi assassina e per penuria d’arena bisogna ch’io mi serva della cenere. Or eccovi raccontata una gran parte della mia memorabile istoria itinerale, di cui avrei voluto fare un capitolo se tanto mi fusse avanzato di tempo. Priegovi a voler dar conto di me agli amici ed a salutare in mio nome il signor Giulio, e per fine a volermi bene.

Di Parigi [ i e> 1 5 1 .

CXXIV

A don Lorenzo Scoto

Stranezza delle mode e dei costumi parigini.


Vi do aviso che son in Parigi, dove, lasciando a voi altri piamontesi il «z taire», il «?/ eco» ed il «mi ciccò», mi son dato tutto tutto al linguaggio francioso, del quale però altro sin qui non