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LXXVI

Al cavaliere Stigliami a Parma

Ne critica un sonetto laudativo e gli promette versi.


V. S. è troppo puntuale, e meco meno che cogli altri dovrebbe usare si fatti rigori, se non per altro almeno per non aggiugner afflizione all’afflitto, sapendo benissimo i travagli che ho passati, de’ quali tuttavia me ne resta da superare ancora qualche reliquia. Io con quelli amici li quali amo con affetto sincero mi prendo alle volte alcune licenze domestiche, le quali non solo non argomentano disprezzo ma presuppongono confidenza ed amore. Il mio non rispondere a V. S. non è stato negligenza ma occupazione, né è proceduto per mancamento di cortesia ma per eccesso di fastidio. E perché io abbia scritto ad altro amico non deve Ella turbarsene, poiché il secreto da me manifestatogli non era tale che se ne dovesse avere tanta gelosia. Torno a replicarli che, per trovarmi io al presente privo di tutte le mie fatiche, ho l’ingegno tanto torbido e tempestoso che non posso frequentar felicemente Io studio di quelle muse, le quali amano la tranquillitá. Poi il sonetto di V. S. non è conforme a quello ch’io giá scrissi a lei una volta, contenente le sue Iodi; ma se se ne togliesse il titolo eh ’Ella si è compiacciuto sovraporgli indirizzandolo a me, potrebbe né piú né meno convenire a chicbesia come luogo commune: e chi volesse risponderli a proposito circa la morte d’un cane, altro non potrebbe dire se non che Dio gli dia pace all’anima; se bene non si nega che il componimento non vada finalmente a conchiudere in mia commendazione. Con tutto ciò, se averò tempo, farò forza alla mia fortuna e vederò fra tante perturbazioni di dare qualche corrente alla vena per servir a V. S., da cui come da autorevole amico accetto questa ed ogn’altra penitenza. E le bacio caramente le mani.

Di Turino [1612].