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che mostri ancora qualche diffidanza di me, dubitando della mia lingua e della mia penna. Ho tentato di certificarlo della integritá mia per molte vie; ma se V. A. in occasione di questo passaggio non si dispone per eccesso di sua bontá a fare un altro sforzo efficace a favor mio, io per me mi morrò desperato fra queste miserie. Non dimando per ora assoluta liberazione, ma un carcere piú civile ed onorevole in casa d’ alcun particolare o un arresto per la cittá di Torino, dove poi abbia maggior commoditá di trattar la mia giustificazione e fare a S. A. conoscere dagli effetti quanto io mi pregi d’essere suo servitore di voto ed obligato.

Faccialo V. A., umilmente la supplico, ed assicurilo sopratutto ch’io non posso, se ben volessi, partir piú di questa corte per diversi rispetti, ma specialmente per essermi licenziato dai servigi del signor cardinale Aldobrandino per alcune occasioni di disgusto. Sia insomma l’ufficio caldo in modo che vengano ad effettuarsi queste benedette promesse, legando l’animo mio per sempre in una catena indissolubile d’obligazione verso V. A. Presumo troppo, ma la necessitá mi spinge e la confidenza mi assicura.

Non son piú lungo, perché voglio sperare e non fastidire. Con che a V. A. bacio reverente le vesti.

Di Torino, a di 14 d’aprile 1612.

LXX

Al medesimo

Lo ringrazia di avergli fatto ottenere la liberazione.


Finalmente è piaciuto a S. A. di liberarmi; il che se bene è stato effettuato ad istanza del signor ambasciatore inglese, il tutto nondimeno riconosco dalla benigna intercessione di V. A. che, disponendo l’animo del signor duca a far questa risoluzione, ne ottenne ferma promessa. Son libero, ma non giá libero da quella obbligazione in cui mi ha posta l’infinita umanitá di V. A.; onde si come di vivo cuore la ringrazio delle grazie che mi ha