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11.De lo stridulo alloro asperse in esso
le nere bacche innanzi dí recise,
de la fico selvaggia il latte espresso
e de la felce il seme ella vi mise,
e la radice c’ha commune il sesso
de l’eringe spinosa anco v’intrise,
e fra gli altri velen, che dentro v’arse,
la violenta ippomene vi sparse.

12.Arse l’erbe e le piante ad una ad una,
sette volte l’altar circonda intorno,
tre s’inginocchia ad adorar la Luna,
tre la contrada ove tramonta il giorno.
D’una peccora poi lanosa e bruna
con la manca tenendo il manco corno,
con la destra il coltel, tra i fochi e i fumi
trecento invoca sconosciuti Numi.

13.E mentre che di Stige e Flegetonte
l’occulte Deitá per nome appella,
versa di nero vino un largo fonte
in fra le corna a la dannata agnella,
non pria però che da la fosca fronte
di lana un fiocco di sua man non svella,
e che noi gitti entro le brage ardenti
quasi primi tributi e libamenti.

14.Poscia con ferro acuto apre e ferisce
la gola a Lagna, e la trafige e svena,
e del sangue, che fuor ne scaturisce
caldo e fumante, un’ampia tazza ha piena.
Con l’estremo del labro indi il lambisce
lievemente cosí, che ’l gusta a pena.
Poi con olio e con mèle in copia grande
a la madre commune in sen lo spande.