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XX 2 io) (non certo in funzione diacritica rispetto al sostantivo tosco, « veleno », per che l’iniziale maiuscola soccorrerebbe ad abundantiam). Ancora: fra due grafie etimologiche possibili. Marino sceglie Rhea (XIX 99 » 5). forma piú rara, coniugandola alla serie Rhodano Rheno ecc., cui solo eccezionalmente si deroga (p. es. a VI 57, 6 « Reni onde ’1 maggior Reno [sic, per attrazione evidente] a l’altro cede *). Al canto X, poi, un lungo elenco di nomi illustri mostra curiose alternanze di esattezza etimologica (Thamira, Thrasone, Scithe, Timotheo, ma Terpandro, Tirteo, Tubai, Etolo, Trittolemo) e di trasgressione (Thirreno, da Tyrrhenus, Pantasilea, da Penthesilea). Notevole il Theophrasto (X 157), interamente etimologico anche nell’isolato ph (Amphion , p. es., dá nel Marino Anfione, anzi: il Thebano Anfione ; e Tisiphone, addirittura, Thesifone [XII 28], quasi per un trapasso dell’/» da un digramma all’altro).

Va aggiunto che, in un gruppetto di casi, dietro il fenomeno grafico, paiono nascondersi ragioni anche fonetiche. Per gli dèi del monte Cinto — Cinthio e Cinthia — par quasi certo che il Marino avesse presente la pronuncia Cintio, Cintia, e non quella attuale {Cinzia). Intanto, abbastanza stranamente, l’A del digramma etimologico è conservata nel nome delle due divinitá ma non in quello del monte, la cui grafia, quale compare in due casi (III 112 e XIX 392), è Cinto. Ma si consideri poi un verso come questo (III 133, 6):

e ’/ Giacinto, ch’a Cinthio accese il core,

in cui pare proprio di cogliere una allusione alla affinitá elettiva del giovinetto e del dio, per mezzo d’un preziosismo fonico (Giacinto-Cintio) che, nella dizione Cinzio, si perderebbe.

Sulla dizione di Parthia non pare sussistano dubbi; ma su quella di Scithia ? Ci si trova sulle sabbie, né par lecito attendersi dal Marino una coerenza funzionale, soprattutto in questa sede dei nomi propri, sensibile alle provocazioni esornative non meno che ai modelli etimologici. Si veda ancora il caso di Absinthia (XX 90, 4) ancella di Diana, dunque amara come l’assenzio. L’assenzio, nell’ Adone, c’è (XIII 257, 6), scritto assentio. C’è anche (XIX 368, 5) Vabsinthio, di cui cento poeti si coronano per i funerali d’Adone (la forma eletta si adatterebbe alla gravitá del momento?). Ora, questo absinthio, sará da pronunziarsi absinzio o absintioí Se ci si orienta su quest’ultima dizione, potremo notare che nell’ottava interessata si stabilisce un gioco di allitterazioni