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347.Di portar per l’agon l’usato incarco
ferve giá d’un desir non mai satollo;
e vuoisi de lo sprone essergli parco:
basta accennargli, ed allentargli il collo.
Va piú ratto che strale uscito d’arco,
senza dar a la mano un picciol crollo.
La via trangugia, e rapido e leggiero
ruba di man la briglia al Cavaliero.

348.Dal correr trito e da l’andar soave
Turbine è detto, e i turbini trapassa.
La destra allor di smisurata trave
arma il Guerriero estrano, indi l’abbassa
e nel Facchin, ben che massiccia e grave,
tutta qual fragil vetro ei la fracassa.
Due volte corse, e fe’ l’istesso effetto,
l’una al guanciale, e l’altra al bacinetto.

349.Rivolta allora a Citherea Bellona,
che tace, e con stupor la mira in volto:
— Che ti par di costui — seco ragiona —
ch’ad ogni altro nel corso il pregio ha tolto?
S’io miro, oltre il valor de la persona,
la patria ond’egli uscí, non mi par molto,
poi ch’a lei qualunqu’altra in tali affari
convien che ceda, e da lei sola impari.

350.È figlio di Parthenope famosa,
Sergio, garzon d’indomito ardimento,
ch’ai monti di Venafro e di Venosa,
ed ai piani di Bari e di Tarento,
gente vincendo invitta e valorosa,
imposto ha il giogo, e non ha peli al mento.
Se ’n guerra conquistò spoglie e trofei,
che fará ne le giostre, e ne’ tornei?