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191.Non è questo non è, ch’arde e sfavilla
le celesti varcando oblique vie,
il Sol, che le folt’ombre apre e tranquilla
de la mia mente, e può recarmi il die.
Tu di quest’occhio sol sei la pupilla,
tu sola il Sol de l’atre notti mie.
S’a me volgi sereno un solo sguardo,
basta ad illuminarmi il foco ond’ardo.

192.Perché piú contro il reo la lingua sciolgo,
pur troppo (ahi lasso) in sua ragione accorto?
E qual prò, se sdegnoso al Ciel mi volgo
sí com’ei fabro sia del mal ch’io porto?
Contro le stelle invan m’adiro e dolgo,
e d’altrui che di me mi lagno a torto,
se di sí fiero caso, e sí sinistro
io fui solo l’autor, solo il ministro.

193.Non fu non fu Nessun, che mi costrinse
a gir cieco e tapin, non so se ’l sai.
Perfida, quel che la mia luce estinse
fu lo splendor de’ tuoi lucenti rai.
Né meraviglia fia, se m’arse e vinse:
io meco ben mi meraviglio assai,
come quando talor mirar ti vuole,
o non s’acciechi, o non s’abbagli il Sole.

194.Io, se mi desse il Ciel che ’l mio perduto
lume per sorte racquistar potessi,
né sol quel che mi tolse il Greco astuto
ma, come un sol n’avea, mille n’avessi,
e quanti di Giunon l’augello occhiuto
girar ne suol ne l’ampia rota impressi,
quanti la Fama, e quanti il Ciel n’ha seco,
mirando gli occhi tuoi tornerei cieco.