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251.Bacco, che la mirò dal vicin colle,
Bacco, ch’era di lei fervido amante,
raccolse per pietá lo spirto molle,
e cangiollo in leggiadra Aura vagante.
Or cangiata anco in Aura, è vana e folle,
rnobil (come fu sempre) ed incostante;
né trasformata in lieve Aura sonora
di garrir cessa e mormorare ancora.

252.E fatta Aura raminga, a tutte l’ore
colá sen vola ove ’l terren fiorisce,
e quivi il bell’Adon mutato in fiore
moke co’ baci e co’ sospir nutrisce,
e da le belle foglie il vano odore
(vana emenda del danno) almen rapisce.
Poi per lo sottilissimo elemento
di sue dolci rapine innebria il vento.

253.Piú che mai tardi da’ profondi Abissi
la notte di quel dí ne l’aria ascese;
né tanto mai dapoi che ’l Sol partissi
le sue tenebre usate il mondo attese;
né mai velata di pietose ecclissi
sí pigra Hespero in Ciel le faci accese;
e quando aperse lo stellato polo,
tutt’altro illuminò, che Cipro solo.