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LA PRIGIONE

IOÓ

95.— O feminella vii: ch’ad uom sí inetto
altro nome — dicea — conviensi male,
né vo’ rimproverando il suo difetto
far a Natura un vituperio tale:
or se non sai d’Amor prender diletto,
il tuo sesso virile a che ti vale?
o qual beltá ti scalderá giá mai,
s’ad arder de la mia senso non hai?

96.Meraviglia non è, se Falsirena
sprezzasti, ancor che vanto abbia di bella,
quando di vagheggiar ti degni a pena
piú vaga tanto e signoril donzella;
né per averne l’agio a prandio, a cena
solo con sola in sí remota cella,
(sciocco che sei) richiedermi d’amore
t’è mai bastato in tante volte il core.

97.Se non che certo assecurata io fui
ch’uom non se’ tu sí come gli altri sono,
anzi un freddo spadon, qual è costui
che qui ti guarda, a tal mestier mal buono,
te sol torrei, come sol degno a cui
facessi di me stessa intero dono,
dandoti in un co’ miei sublimi amori
(suo malgrado) a goder cibi migliori.

98.Poi che son dunque i tuoi pensier sí sciocchi,
e ciechi a lo splendor de’ raggi miei,
convien che tu mi mostri, e ch’io ti tocchi
or or se maschio, o pur femina sei.
E quando avenga che le mani e gli occhi
ti trovin poi qual mai non crederei,
troncar ti vo’ quell’organo infecondo,
che tu possiedi inutilmente al mondo.