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canto terzo 189


147.Ed ella allor: — Che tu ti sia, mia Vita,
esperto Arcier, Saëttatore accorto,
altra prova non vo’ che la ferita
che ’n mezo al petto immedicabil porto.
Ma d’aver tal beltà mai partorita
Mirra (credilo a me) si vanta a torto,
perché fra l’ombre il Sol non si produce,
né può la notte generar la luce.

148.Ella il padre ingannò di notte oscura,
e tu porti negli occhi un dì sereno.
Ella di scorza alpestra il corpo indura,
e tu più che di latte hai molle il seno.
Ella amara e spiacente è per natura,
e tu sei tutto di dolcezza pieno.
Ella distilla lagrimosi umori,
e tu fai lagrimar l’anime e i cori.

149.Sol quelle luci tue rapaci e ladre,
ch’involando da’ petti i cori vanno,
parto furtivo di furtiva madre
t’accusan nato, e con furtivo inganno.
Or se membra sì belle e sì leggiadre
fur concette di furto, e furar sanno,
non ti meravigliar, se voglio anch’io
che chi mi fura il cor, sia furto mio.

150.Non pur gli occhi e le mani a tuo talento,
la bocca e ’l sen t’è posseder concesso,
ma t’apro il proprio fianco, e ti presento
in cambio del tuo core, il core istesso.
Vedrai che quell’amor, ch’al core io sento,
t’ha sculto no, ma trasformato in esso:
che sei de’ miei pensieri unico oggetto,
e ch’altro cor che te, non ho nel petto. —