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si poteva guardare senza una compassione piena d’amore e di rispetto.

Venuta ai quindici anni, io era rimasta sola di tutti i figli nati a mio padre. Eran morti tutti tisici, e mio padre era tutti gli anni minacciato di morire nella stessa maniera. Ricordo, che abbracciandolo, io doveva badar sempre a non stringergli il braccio sinistro, perchè vi portava una piaga che i medici gli avevano aperta nelle carni. Molte volte i servitori di casa mi guardavano con aria di compassione e mi dicevano con una pietà crudele: «Questa povera Emma tien duro essa non vuol morire, ma chi sa poi che ne sarà di lei.» Una cameriera di mia zia, che era pure una buona donna, mi fece piangere una volta un giorno intiero. Mio padre mi aveva proibito di recarmi alla sera nel parco di casa, dicendo che il fresco della notte mi avrebbe fatto molto male; ma una sera la luna splendeva bellissima dietro i pini del ruscelletto ed io pregai miss Mary di accompagnarmi nel parco. Sapeva di disubbidire a mio padre, ma voleva che Mary si facesse mia alleata e mi aiutasse a commettere quel peccato. Mary esitò alquanto, e poi, coprendomi con un caldo mantello, mi disse: «Andiamo, andiamo, Emma, alla fine godi della vita che ti resta; anche le tue sorelle e i tuoi fratelli hanno usato di tutte queste precauzioni, eppure sono morti; vieni, andiamo, andiam nel parco.»

Io mi diedi a piangere e non volli andare a vedere la luna sotto i pini del ruscello, e, singhiozzando forte, dissi a Mary ch’io voleva ubbidire a mio padre, e che io non voleva morire. Piansi tutta quella notte e tutto il giorno appresso.

Così, mio William, passò l’infanzia della tua Emma; così vissi l’adolescenza, e quando mi sentii donna, nell’età in cui alle altre giovinette si apre un mondo di paradiso; tutto poesia e tutto speranza, io era già abituata a non vivere che nel pianto, e vedendo la mia famiglia così infelice e senza colpa d’alcuno, più di una volta mi domandava perchè Dio fosse stato così ingiusto verso di noi; perchè mai noi soli dovessimo