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Una mattina, e fu l’ultima della sua vita, mi alzai tardi perchè mi sentiva malata, e avendo chiesto di Emma, mi fu risposto che si era alzata per tempissimo e che ravvolta nel suo scialle era uscita di casa, dicendo alla cameriera: Direte a mia zia che sono andata col primo treno a Bath, per fare una visita alla tomba di mio padre, ma che sarò di ritorno all’ora di pranzo. Fui tutto il giorno inquieta, e i miei occhi cercavano impazienti l’orologio e più d’una volta mi avvenne di metterlo all’orecchio, perchè mi sembrava che dovesse essersi fermato, tanto il tempo mi sembrava lungo.

Finalmente alle quattro essa venne: le corsi incontro; era pallida come la morte, non poteva parlare, tanto le era cresciuto l’affanno del respiro per aver montate le scale. Volle sorridermi, quasi col labbro muto volesse rispondere alle cento domande che mi si affollavano alla mente e che esprimeva colla faccia angosciata e il gesto straziante. Si precipitò nella camera da letto e si lasciò cadere quasi stramazzone sul suo sofà, senza aver tempo nè forza di levarsi lo scialle, il cappello, i guanti. Aveva le mani gelate e non mostrava di esser viva che con brividi ripetuti e sospiri profondi e affannosi.

Tirai il campanello con tanta forza che ne strappai il cordone: gridai che subito si chiamasse il medico di casa; e poi, fuori di me, appoggiandomi alle sedie e alle pareti, credendo di dover cadere svenuta ad ogni passo, e ad ogni passo ripigliando tutta la mia forza di volontà, escii dalla camera per cercare non so che cosa.

Voleva fare un mondo di cose in una volta sola: avrei voluto avere senape, fuoco, acqua di Colonia; avrei voluto avere con me tutti i medici, tutti i farmacisti di Londra; ma sopratutto io cercava William. Mi pareva che tu fossi in quel momento la cosa più necessaria alla mia Emma.

Rientrai pochi momenti dopo, udii un grido forsennato di Jessy che gridava: la mia padrona è morta, miss Emma muore; e si strappava i capelli. — Mi avvicinai al letto e vidi la mia figliuola divenuta del co-