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Disperato, quella stessa spada traendo dal seno della fanciulla, se l’immerge nel petto, e cade allato alla disgraziata figlia di Maniace.

Intanto i Saraceni che si trovavano presenti alla catastrofe, dopo aver cercato di richiamare alla vita, ma inutilmente, i disgraziati giovani, vedendo la enorme quantità d’oro, d’argento e di pietre preziose che era sparsa in quella caverna, a ruffa, raffa si gettarono a prenderne quanto più ne potevano: e carichi come bestie da soma, senza curarsi di dare sepoltura al povero Sidnar, pensarono di uscir fuori; stabilendo prima rispondere ai compagni, se fossero domandati, che tutto quel che portavano era il tesoro di Zoraide, per potervi ritornare quando volessero a ripigliare il resto.

Ma la cosa andò altrimenti di come avean pensato; giacchè corri di qua, gira di là, i corridoj si allungavano, s’incrocicchiavano, e non era uscita che si potesse trovare. Stanchi finalmente pel continuo raggirarsi in quel laberinto, si persuasero che il tesoro era stato già incantato; e che, non potendone uscire neanco una moneta, deliberarono deporre tutto quel che avevano preso.

Infatti così fecero, e subito trovarono l’uscita, e andarono a riferire ai compagni quanto loro era accaduto.