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menti non certo. Potrò dividermi amichevolmente anche dalle altre, potrò dir loro: tacete, perchè mia figlia vuole; tacete in quest’altro, perchè non vi posso scacciare, ma sono risoluto a non ascoltarvi. Forse allora col tempo, partiranno anche sole. Permettete, amico mio; io credo che avrò molta maggiore compiacenza facendo così, che se Voi mi persuadeste con dimostrazioni. Cosa posso io dare a Edith se non do questo? Cosa posso io lasciare a mia figlia quando muoio, se non le lascio una memoria interamente dolce, interamente cara? Guardate, non mi è mai passato per la mente, quando vedeva Edith andare a confessarsi, che sarei diviso da Lei nell’altra vita, perchè non andava anch’io a inginocchiarmi davanti a un prete; è quello che più mi ripugna, ma se Edith lo desidera...! Oh, ma come, come mi ha nascosto questo!

Alzò le mani giunte al cielo, le scosse nervosamente.

— La prima sera, sì, m’era venuto in mente e anche il mattino dopo, quando l’ho accompagnata a Messa, qui nella Vostra chiesa: ma poi ella era sempre così affettuosa, così tenera con me! Mi parlava spesso di religione, ma solo raccontando i suoi pensieri, i suoi sentimenti, come se questa cosa riguardasse lei e non me. Io ascoltava con gran piacere, come Voi che siete italiano e volete restare italiano ascoltereste mia figlia se vi parlasse del nostro mondo tedesco, della nostra poesia e della nostra musica. Quando ho cominciato a venire in chiesa, a pregare con lei, godeva sì, ma pareva quasi temere che io mi tediassi, che io facessi per compiacere a lei. Solo di una cosa mi pregava con compassione: ch’io perdonassi.

— E ha perdonato? — disse don Innocenzo.

— Io ho fatto i più grandi sforzi — rispose Steinegge commovendosi. — Io ho, non perdonato, dimenticato quelli che hanno fatto del male a me; e anche per gli altri... — La voce gli morì in gola soffocata. — Ho fatto quel che ho potuto — diss’egli.

Don Innocenzo, pure commosso, tacque. Forse la