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i piselli fece vedere a’ suoi ospiti le novità della casa. Prima — Veuillot — un passero solitario, chiacchierone impertinente, al quale era rimasto quel nomignolo dopo che un allegro prete, seccato dal suo cicaleccio continuo, si era voltato a gridargli: — taci, Veuillot. — E io mi godo di tenerlo in gabbia — soggiunse ferocemente don Innocenzo, raccontato l’aneddoto. Aveva pure a mostrare de’ nuovi tegami preistorici trovati scavando le fondamenta della cartiera, del gran dado bianco che si vedeva sorgere laggiù oltre i pioppi del fiumicello, in mezzo a una chiazza nerastra, a una piaga schifosa del verde. Don Innocenzo era ancora entusiasta della cartiera, forse anche un po’ per la scoperta dei suoi tegami. Passando per lo studio, Steinegge chinò un momento il capo a un libro aperto sullo scrittoio davanti al seggiolone di Don Innocenzo. Questo saltò lesto come un ragazzo a ghermire il libro e se lo strinse al petto, ridendo, rosso fino al vertice del cranio. Steinegge, rosso anche lui, fece le sue scuse.

— A Lei! A Lei! Vada là! Lo prenda, lo prenda! — rispose don Innocenzo porgendogli a due mani il libro che l’altro non voleva pigliare.

— Ah! — diss’egli, appena v’ebbe data un’occhiata — Mein Gott, Mein Gott! Non avrei mai creduto questo.

Era una grammatica tedesca.

— Taccia, vada là, vada là che non capisco niente! — esclamò don Innocenzo ridendo sempre; e gli ritolse il libro, lo gittò sullo scrittoio, vi posò su il suo berretto a croce e scappò a raggiungere Edith.

Adesso non c’era proprio più nulla da vedere e la casetta tornò silenziosa, perchè gli Steinegge si ritirarono nelle loro stanze al primo piano, mentre Marta stendeva la tovaglia.

Placido silenzio, interrotto appena dal tintinnìo delle posate di Marta, da qualche passo pesante sulla stradicciuola di là dall’orto. Edith era felice di sapersi così