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fragranza di vegetazione, li eccitava. Chi avrebbe riconosciuto la Edith del giorno prima? Ella coglieva fiori, li gettava a suo padre, correva, cantava, come una bambina. Si fermò ad un tratto guardando il lago e cominciò una canzone triste:


Am Aarensee, am Aarensee.


— No, no — gridò Suo padre, e corse a lei. Ella fuggì ridendo e ripigliò più lontano:


Da rauschet der vielgrüne Wald.


Si compiaceva che suo padre non le permettesse quella canzone triste e si divertiva a stuzzicarlo. Inseguita da lui continuò fuggendo: «Da geht die jungfrau». Rallentò la corsa e la voce sulle parole «Und klagt» si lasciò raggiungere prima di dire «ihr Weh» e baciò la mano che le chiudeva la bocca.

— Mai, mai, papà — diss’ella poi — sin che mi tieni con te. Non sai che siamo un po’ matti tutti e due? Piove!

Steinegge non se n’era accorto. Aperse a grande stento lo sgangherato ombrello verde che brontolò sotto la piova, fra il sussurro dei prati e il bisbiglio degli alberi, sullo stesso tono, presso a poco, della vecchia Marta. Pure poteva esser contento di quello che udiva sul conto del suo padrone. Steinegge singolarmente non rifiniva di lodarne l’aspetto e le parole oneste, a segno che Edith gli domandò se l’onestà fosse tanto rara in Italia. Egli protestò con un fiume d’eloquenza per togliere ogni sospetto che potesse pensar male degli italiani, ai quali professava gratitudine sincera perchè, in fin dei conti, erano i soli stranieri da cui avesse ricevuto benefici.

Da tutte le sue calde parole usciva questo, che egli non credeva rara l’onestà fra gl’italiani, ma fra i preti. Questa conclusione non la disse, o gli parve nella