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veramente il tepore odoroso, vedeva saettarvi per la finestra di levante un raggio di luna, rigare il pavimento, sfiorar un’onda di vesti vôte, brillar sopra uno spillo caduto, sulla punta brunita d’uno stivaletto adunco, scivolar sul letto bianco, battere a una delicata mano sottile e morirvi mandando fiochi bagliori su pel braccio ignudo. A questo punto gli si oscurava la fantasia, una stretta nervosa gli si propagava dal petto a tutta la persona ed egli riprendeva frettoloso, per liberarsi da quello spasimo, la via.

Non è a stupire se la sbagliò. Non era facile, per verità, fra parecchi sentieri che fuggono in mezzo agli uniformi filari di viti, scegliere quello che conduce al cancello. Silla ne prese uno alquanto più basso. Si avvide dell’errore, quando trovò, dopo un tratto abbastanza lungo, che scendeva verso il lago. Pensò che al postutto non era sicuro di rinvenire la chiave del cancello, posta di solito, ma non sempre, in un buco del muro di cinta, e ricordò che ci doveva esser lì presso un’altra uscita per la quale passavano qualche volta i coltivatori del vigneto. La trovò infatti. Il muro di cinta era diroccato per metà e dal campo vicino un gelso spingeva i rami per la breccia. Silla fu presto dall’altra parte, a pochi passi da un approdo che serviva ai coloni del campicello lungo il lago. Un sentiero piano muove da quell’approdo a raggiungere nel suo punto più basso la strada provinciale di Val... ora toccando l’orlo del lago, ora appiattandosi fra siepi e muricciuoli, ora tagliando qualche pendio erboso, rotto da radi ulivi.

Silla si sforzava invano, camminando, di pensare all’avvenire, alla vita di sacrificio e di lavoro indomito che l’aspettava. Malediva la notte piena di voci lascive e la luna voluttuosa, ormai alta nel sereno. Appoggiò la fronte ardente ad un tronco di ulivo, senza sapere che si facesse. Quel tocco ruvido e freddo lo ristorò, lo acquietò come avrebbe acquietato un metallo vibrante.