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cenciosa, stracciata e simile a quella che va girando li dappresso alla gran bottega di abiti vecchi nella strada Monmouth. Ogni volta che essi sedevansi sopra i libri, per una di quelle incoerenze comuni ai sogni, mi sembrava che il libro si cangiasse in una veste di foggia forastiera, o antica, con ’cui essi cercavano di abbigliarsi. Io avvertii che niuno pretendeva d’indossare una forma propria di vestito, ma strappando una manica da uno, un cappello da un altro, da un terzo una falda, e così adornandosi a brandelli, lasciava venir fuori qualcuno de’ propri cenci.

Vi era un tale di alta persona, ben nutrito, di colore roseo, che io vedeva coll’occhialino tutto inteso a guardare su parecchi muffati scrittori di polemica. Ei si arrabbattava a gittarsi addosso un largo mantello di uno degli antichi padri; ed avendo rubato la grigia barba di un altro si sforzava di comparire un gran saggio, ma l’aria festevole del suo portamento gli toglieva ogni apparenza di saggezza. Un gentiluomo dalla corta vista era tutt’occupato a ricamare un sottilissimo abito con Ali di oro, tratti da certi antichi abiti di corte sotto il regno della regina Elisabetta. Un altro erasi riccamente ornato di un manoscritto bello per miniature, e portava sul petto una rosa colta nell’Eliso, e, copertasi la testa del cappello di sir Filippo Sidney, si pavoneggiava con aria squisita di volgare eleganza. Un terzo, di debole complessione, boriosamente si reggeva sulle spoglie di parecchi oscuri filosofi, sicché egli aveva aspetto veramente grave, ma era miseramente stracciato di dietro, e mi accorsi che la sua veste era rattoppata con minuzzoli di una pergamena di latino scrittore.