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libro settimo 261

tinacissimoque Praefecto, ec.). Mandò egli fin presso Brescia, per incomodar la marchia al nimico, una parte della cavalleria, che arrivando l’armata, fu facilmente fatta retrocedere, e ritirare a Verona: dove giunto Costantino, e riconosciuta la situazione della città, molto premeagli di non poterla, senza passare il fiume, circonvallar d’intorno, e levarle il commerzio col paese di là, donde restava libero l’adito a ricever continuamente viveri e soccorsi: nè piccola impresa era il passar l’Adige in vista de’ nimici, impetuoso e pericoloso allora per sassi e gorghi (An. c. 8: saxis asper, et gurgitibus vorticosus, cc.). Mandò però Costantino una parte dell’esercito più sopra, e lontano dalla città, facendolo passare dove il fiume era men rapido e men difficile, e dove non c’era contrasto; con che ristrinse poi Verona anche dall’altra parte. Fece Ruricio esperimento della sua gente con valida sortita) ma respinto con molta perdita uscì nascosamente della città, e se n’andò per porre insieme maggior numero di soldati; co’ quali ritornando, Costantino senza intermetter l’assedio l’andò a incontrare, e giunti a vista nel cader del giorno, non ricusando Ruricio di combatter subito, seguì battaglia di notte. Avea Costantino disposta l’armata in due grosse linee (Anon. c. 9: aciem instruxeras duplicem, ec.); ma veduto il numero de’ nimici, rinforzò la prima, e spiegò più largamente la fronte. Nel combattimento accorse personalmente in ogni parte più pericolosa, come ogni privato duce avrebbe potuto fare, e riportò finalmente piena vittoria,