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libro quinto 163

all’altre città per detto del Giurisconsulto non era lecito nè pur co’ servi (l. 12 de Jurisd.). Questo era l’altro costitutivo della libertà, qual però accennammo nel terzo libro non esser per anco stata messa in chiaro. Narra Tacito ( Ann. lib. 2 ) che Pisone odio nodriva contra gli Ateniesi, i quali eran privilegiati di libertà, perchè gli avean negato di far grazia a certo Teofilo falsario, sentenziato dal lor tribunale dell’Areopago. Racconta Dione (lib. 60) che l’Imperador Claudio privò di libertà i Rodiotti, perchè coll’ignominioso e servil supplizio della croce avean fatto morire alcuni cittadini Romani. Le città d’Italia siccome godean tutte la condizion delle libere in non esser soggette a Preside alcuno, così è da credere la godessero anche nell’altra parte del gius del gladio. Vuol però intendersi, eccettuando i delitti publici di tradimento, congiura, veneficio e assassinio, perchè di questi in Italia fin da’ tempi di Polibio i Magistrati delle città non giudicavano (lib. 6: πρόδοσιας. ec.); e poichè Presidi di sorte alcuna non v’erano, insegna il medesimo Storico che n’andava la cognizione al Senato Romano.

Uso fu anche tra’ Romani che l’arti e i mestieri si unissero in collegi e corpi, i quali poi creavano rettori e ministri, e quasi Republiche atti faceano e decreti. Ebbe principio tale istituto da Numa, il quale, come si legge in Plutarco, in otto Arti distribuì da prima il popolo di Roma. Molt’altre poi se n’aggiunsero, e a quella norma nelle città parimente più professioni formarono corpi e collegj. La