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canto quarto 383


     Cosí de’ greci e de’ troiani parlava
qualcun; ma Pallade in viril sembiante
di Laodóco Antenóreo guerrier prode
100ne la troiana turba entrò del divo
Pandaro, ricercando in qualche loco
se ’l rinvenisse. Lo trovò, il robusto
di Licaone irreprensibil figlio,
e genti intorno a lui di scudo armate
105che seguito Pavean fin da l’Esepo.
Gli si fé’ presso e alati detti sciolse.
     — Faresti tu a mio senno, ardito figlio
di Licaone? Centra Menelao
non oseresti tu scagliar saetta?
110Grazia e gloria dai troici tutti e somma
presso Alessandro re certo ottenendo,
da cui splendidi ancor verranti doni,
se vedrá il bellicoso d’Atreo figlio
per tua freccia trafitto esser da’ suoi
115portato al fine sul funereo rogo.
Su su tira al famoso Menelao.
A Licio Apollo glorioso arciero,
allorché a’ tetti tuoi ne la sacrata
Zeba farai ritorno, offrir prometti
120di priminati agnelli ampia ecatombe. —
     Cosí parlò Minerva e dal suo dire
fu persuaso il folle, onde a un pulito
di saltatrice capra arco dié mano,
qual silvestre egli avea gran tempo innanzi,
125mentre uscia da la rupe, insidiando
sotto il petto colpita e su la pietra
supina cadde. Uscian corna dal capo
sedici palmi lunghe; esperto d’archi
Itesele a lavorar fabbro e le sciolse
130e in su la cima lucid’oro impose.
Quest’arco tese ed inchinollo a terra
con arte; innanzi a lui tenean gli scudi