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226 la lotta dei colossi


menti, nelle retrovie della guerra, dove la vita del paese continua normale ed eguale, le mostruose artiglierie si annidano. Sono cannoni che il nemico non avrebbe mai immaginato di veder comparire dalla nostra parte sul campo di battaglia. Credeva di dominarci con i suoi 210 di Hensel, d’inchiodarci nelle nostre valli, alle quali intendeva aprirsi l’accesso.

Accovacciati sui loro larghi affusti massicci, che pesano loro soli decine di tonnellate, piantati solidamente su piattaforme che sembrano fondamenta di torri, i neri e giganteschi cannoni sporgono soltanto il profilo impetuoso e possente del loro lucido collo dall’ampio barricamento circolare di sacchi pieni di terra che li protegge. Quell’alta barriera grigia fa pensare al recinto creato intorno ad una belva.


Gli artiglieri lavorano in quel chiuso, isolati, intorno alla formidabile macchina di morte. Ruote silenziose muovono il pezzo, lo girano, lo sollevano, fanno aprire e richiudere l’enorme culatta, il cui otturatore a cerniera, dalle dentature lucenti, sembra lo sportello d’un forziere favoloso. Docile, il cannone dolcemente obbedisce a lievi giri di manovelle. Quella grande massa di tredicimila chili di acciaio si muove senza rumore con una maestà dominatrice, con una lentezza che sembra pensosa e ponderata. Si dispone al tiro, assume l’attitudine del