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di Tito Lucrezio Lib. V. 53

     Come or fan gli animai l’onde tranquille,
     Che d’alto caggion mormorando al chino.
     Ed al fin vagabondi a ciel notturno
     Abitavan quei popoli primieri
     1395Delle ninfe i silvestri orridi templi;
     Onde liquidi uscian lubrici rivi,
     Che le grotte solean d’ogni sozzura,
     E dal fango lavar gli umidi sassi;
     Gli umidi sassi sopra il verde musco
     1400D’umor chiaro stillanti. E parte al piano,
     Non capendo in se stessi, impetuosi
     Scesero, e furibondi errar pe’ campi;
     Nè sapean maneggiar co ’l foco alcuna
     Cosa, nè con le pelli, o con le spoglie
     1405Delle fere coprian l’ignude membra;
     Ma ne’ boschi, negli antri, e nelle selve
     Ricovravan se stessi, e nelle cave
     Grotte; e per ischifar de’ venti irati
     Gli assalti, e delle piogge, il sozzo e squallido
     1410Corpo asconder solean tra gli arboscelli;
     Nè poteano aver l’occhio al comun bene,
     Nè fra loro introdur riti, e costumi,
     Nè formar, nè servar leggi, o statuti.
     Quel, che offerto dal caso, o dalla sorte
     1415Della preda venia, quel desso appunto
     Prendea ciascuno ammaestrato, e dotto
     Ad esser per se stesso a se bastante,


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