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di Tito Lucrezio Lib. VI. 115

     Caddero, e si posar dell’acque in fondo.
     Che se pur non prorompe, almen la stessa
     Forza del chiuso spirto, e il fiero crollo
     Del vento, quasi orror, tosto si sparge
     885Pe’ folti pori della terra, e quindi
     Con non lieve tremor la scuote; appunto
     Come quando per l’ossa un freddo gelo
     Mal nostro grado ne commove, e sforza
     A tremare e riscuoterci. Con dubbio
     890Terror dunque paventa il folle volgo
     Per le città; teme di sopra i tetti;
     Di sotto, che natura apra repente
     Le terrestri caverne, è l’ampia gola
     Distratta spanda, e in un confusa e mista
     895Delle proprie ruine empier la voglia.
     Quindi, ancorchè l’uom creda esser eterna
     La terra, e il ciel, pur nondimen commosso
     Da sì grave periglio avvien talora,
     Ch’ei non so da qual parte un tale occulto
     900Stimolo tragga di paura, ond’egli
     Vien costretto a temer, che sotto i piedi
     Non gli manchi la terra, e voli ratta
     Pe ’l vano immenso, e già sossopra il tutto
     Si volga, e caggia a precipizio il mondo.
905Or cantar ne convien, perchè non cresca
     Il mare. E pria, molto stupisce il volgo,
     Che maggior la natura unqua no ’l renda,


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