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di Tito Lucrezio Lib. VI. 91

     Suon tra le fiamme strepitando scoppi,
     Quanto i delfici lauri a Febo sacri.
Al fin d’acerba grandine, e di gelo
     235Un fragor violento, e un precipizio
     Spesso nell’alte nubi alto rimbomba;
     Che allor che il vento gli condensa, e gli empie,
     Frangonsi ’n luogo angusto eccelsi monti
     Di grandinosi nembi in gelo accolti.
     240Folgora similmente, allor che scossi
     Vengon dagli urti dell’avverse nubi
     Molti semi di foco; in quella guisa
     Che se pietra è da pietra, o da temprato
     Acciar percossa, un chiaro lume intorno
     245Sparge, e vive di foco auree scintille.
     Ma pria che a’ nostri orecchi arrivi ’l tuono,
     Veggon gli occhi ’l balen; perchè più tardo
     Moto han sempre i principj atti a commovere
     L’udito, che la vista; il che ben puossi
     250Quindi ancora imparar: che se da lungi
     Vedi con la bipenne un tronco busto
     Spezzar d’albero annoso, il colpo miri
     Pria che ’l suon tu ne senta. Or nello stesso
     Modo a gli occhi eziandio giunge il baleno
     255Pria che ’l tuono all’orecchie; ancorch’il tuono
     Sia vibrato co ’l folgore, e con lui
     D’una causa prodotto, e d’un concorso.
     Spesso avvien, che in tal guisa ancor si tinga