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220 iii - rime

lxxxix

[«Sí bella è la mia donna».]


     Sí bella è la mia donna, e in sé raccoglie
tante dolci bellezze e non vedute,
ch’è miglior stato non trovar salute
in lei, che adempier tutte l’altre voglie.
     Però i pianti, disir, speranze e doglie,
che da sí bella cosa son venute,
porton con loro una gentil salute
che vive sempre, a cui la vita toglie.
     Oh bella morte ed oh dolor suavi!
oh pensier, che portate ne’ sospiri,
ad altri ignota, al cor tanta dolcezza!
     Com’esser può che alcuna pena aggravi,
benché afflitto, alcun cor che sempre miri
cogli occhi o col pensier somma bellezza?


xc

[Il pianto della sua donna ha reso pietoso anche Amore.]


     Tu non sarai mai piú crudele iddio,
Amor, da poi che in quel bel guardo e santo
bagnato t’ha della mia donna il pianto,
pianto bel, pianto dolce e pianto pio.
     Quella pietá, che mosse il bel disio,
credo fatto t’ará pietoso tanto,
e le lacrime pie; ché lieto canto
posson gli amanti far del dolor mio.
     Lieti e sicur vi rende il mio dolore:
piú non temete, o pallidetti amanti,
che per amor, piangendo, il cor si stempre.
     Se pur piangessi, il mio gentil signore
fatto ha piangendo cosí dolci i pianti,
che ciascun cor gentil vuol pianger sempre.