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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 123

grandissimo tormento ed amaritudine è poi desiderarle ed esserne privato. Ed il core, tirato dalla dolcezza detta, non può fare che non pensi alla donna sua; e li pensieri di necessitá portono con seco ancora il desiderio, cioè la privazione di quel bene: veramente è detto il core nutrirsi di questi dolci ed amarissimi pensieri.

     S’io volgo or qua or lá gli occhi miei lassi,
sanza veder quel ben che sol mi piace,
miseri lor, giamai non truovon pace.
Questo avviene a’ pensier, parole e passi.
     Onde pel meglio e lacrimosi e bassi
gli tengo, e la mia lingua afflitta tace,
e ’l piè nel primo suo vestigio iace;
ciascun pensiero al cor ristretto stassi.
     Allor sí bella e sí gentil la veggio
dentro al mio cor, ove Amor l’ha scolpita,
ch’altro bene, altra pace piú non chieggio.
     Tacito e solo il mio bel cor vagheggio;
e in quel si parte e fugge con la vita:
né vivo resto o morto allor, ma peggio.

Perché io non credo sia determinato qual sia maggiore infelicitá, o l’essere infelicissimo o veramente perdere al tutto l’essere, lascerò la veritá di questa cosa a maggior iudicio che ’l mio, affermando però, per molte esperienzie, alli uomini accadere molte volte cose che pigliano per elezione piú presto privarsi della vita che sopportarle; ed ancora che sia cosa reprensibile la passione, in questi casi si tira drieto ogni altro migliore rispetto. Vedesi ancora molte volte li uomini eleggere piú presto privarsi per qualche poco di tempo della operazione de’ sensi che sopportare la offesa loro: come diremo d’uno che serra li orecchi a qualche grande e pauroso strepito, un altro li occhi per non vedere o qualche cosa brutta o altro che movessi compassione o dolore, altri il naso per qualunque fetore; e si debbe credere questi tali terrebbono questi sensi sempre serrati, se sempre durassino le cose che offendono. E, se questo è, possono accadere molti casi che reputeremo manco male la