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alcuni sergenti dei cacciatori di Vincennes, che stavano sulla porta di una casa di pessima riputazione, si presentarono a noi, e c’invitarono ad entrarvi per rinfrescarci. Realmente ne avevamo bisogno, ma non potevamo accettare. — Oh! disse uno di essi un po’ ubbriaco; hanno ragione di dire che gli Zuavi sono dei chalcals (lupi dorati), che fuggono la società civilizzata. — Non rispondemmo a questa facezia, che ci richiamava alla memoria un soprannome dato dagli Arabi al corpo di cui facevamo parte, ed affrettammo il passo; ma questo non era ciò che volevano costoro. — Eh! dite, dite, turbanti verdi, volete o non volete trincare coi cacciatori neri? — Ed in questa ci vedemmo circondati da cinque o sei militari. Tacqui pensando che Marty, colla sua dolcezza e colla sua calma abituale, se la caverebbe meglio di me. — Camerati, disse loro, noi non abbiamo permissione; l’ora è vicina; dobbiamo entrare nel quartiere: vi prego di lasciarci continuare il nostro cammino. — Niente affatto, rispose il primo interlocutore, evidentemente ubbriaco: tu hai l’aria di volerci disprezzare; tu verrai con noi, o altrimenti... — Altrimenti che? — Eh! bene! noi ti ci trascineremo. — Da quando in qua sei uomini si prevarranno del numero loro per forzare dei soldati a mancare al loro dovere? Vogliate, ve ne scongiuro, lasciarci tranquilli. — Tu temi dunque di venire dalla Moresca? — Non voglio andare in un luogo, dove ho risoluto di non porvi mai piede. — La vedremo, dissero parecchi altri cacciatori, sfoderando le loro sciabole. Quelli erano affatto ubbriachi. Io stava per piombar loro addosso, quando Marty, afferrandomi pel braccio, mi disse: — Rimani dunque con me, non ti scaldare se vuoi che si abbia ragione. — Ragione? disse vivamente il primo autore di questo conflitto: sì, tu mi renderai ragione, e subito. Animo! mettiamoci in linea, o altrimenti dirò dapper-