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il giorno dopo sarebbe andato a scuola in bella vita. Ottobre o non ottobre, il freddo era venuto.

Avrei potuto tenerlo in casa: ma se il bambino mi disimparava le cose studiate? Io non ero in grado di fargli neanche la ripetizione, io, povera ignorante. Fino ad accorgermi se lo scritto era bello o brutto, e se i numeri tornavano, ci arrivavo anch’io: ma pur troppo quello non bastava. Bisognava intendersi di studi.

Almanaccai se tra i miei cenci, ci fosse stato qualche cosa da potersi riadattare per lui: nulla. Il pastrano del suo povero babbo era in pegno da cinque mesi, e il mio sciallino a righe era tutto un frinzello.

Non ci avevo nulla, proprio nulla. Sicuro, il braccialetto d’oro, coi capelli del mio marito, c’era. Sfido! Certe cose non si possono vendere, neanche per un po’ di pane. Infatti, dopo la morte di lui, avevo patito d’ogni bisogno: avevo mangiato patate lesse per un mese e mezzo, ero stata senza vino e perfino col pane a còmpito: ma il braccialetto non l’avevo mai voluto vendere. Era l’unico ricordo che mi restasse di quel pover’uomo.

Intanto il vento seguitava a mugliare. Allungai una mano per tastar Gigino, e lo sentii ghiaccio marmato. Di certo il bambino aveva preso del fresco. Non potevo più dubitarne.