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172 lettere d’una viaggiatrice

vestito di fantasia, tenendo nelle mani il fatale cofanetto, donde verrà la sua morte: e nella bella testa dai capelli singolarmente acconciati, negli occhi levati e spalancati, sembra già riluca il sogno tragico dell’ora estrema. Questo ritratto messo lì, semplicemente, con qualche fiore innanzi, è il solo ricordo apparente della grande vittoria che Eleonora Duse, non sono che venti giorni, ebbe nel primo teatro di Francia, innanzi al primo pubblico del mondo. E null’altro si vede, né la veste magnifica né il magnifico manto che Worth copiò da un ritratto del tempo, né i gioielli copiati da quelli che si portavano, quando Adriana Lecouvreur visse, trionfò, amò e morì, né uno dei giornali che parlarono di questo stupefacente successo, con parole che fanno impallidire d’emozione coloro che amano teneramente la grande artista: nulla di ciò. La fragile donna come tante altre volte, superando la fatica lunga del suo giro in Italia, superando il resto di una influenza che l’aveva tanto tormentata a Roma e a Firenze, è andata, anche adesso, a un cimento terribile, forte della sua anima fiammeggiante, forte della sua arte im-