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LETTERE

quelle voglia per breve spatio addormentare. Deh caro Signor N. concedetemi, che nello scriver à voi parli con la mia cara N. Anima bella tu, che sempre fosti per gratia del Cielo, e per voler proprio da basse, e vili cure lontana impetrami (che ben puoi) se non fine alla doglia, almen forza per soffrirla, over mi presta quel tuo cuor generoso, nelquale maravigliosamente fiorivano le gratie, e le virtù, che allhora poi sopporterò con sommo vigore ogni terribile sventura. Dunque (misero me) altro non mi rimane di tanti tuoi meriti, che la memoria d’haverli amati? ò Donna che dal Ciel data, è dal Cielo tolta mi fosti, perche le spine del dolore contrapesassero le rose del piacere, perche non son io teco? ò divino spirito, che dal mio seguìto, se’ cagione, che null’altro di me che l’ombra di me si vegga, perche non hò io per pianger l’immatura tua morte tanti occhi, quante hà stelle l’ottavo Cielo? come possono du’ occhi soli pianger mille, e mille virtù? ma poich’io non posso pianger sopra le tue ossa honorate quanto vorrei, e quanto coviensi non mi sia disdetto almeno, ch’io t’alzi un nuovo strausoleo del mio dolore, ilquale se da gli occhi altrui potesse esser veduto, sicurissimo sono, che sarebbe giudicato non solamente dell’antico; ma di tutto ’l giro della terra maggiore. Caro già conforto delle mie pene, et hora fonte inesausto delle mie lagrime prendi in grado l’affetto di colui, che per altro non vive, che per darti nella sua memoria vita, e renditi certa, che l’oblio perderà per me il suo nome, e ti prometto, che la


mia