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D’ISABELLA ANDREINI. 138

Delle lodi della Villa.


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Ovreste hoggimai risolvervi (Signor N. mio) di lasciar l’ingordo desiderio delle ricchezze, de gli honori, e delle speranze di corte, che non lasciano mai respirare chi pon loro affetto, e darvi in tutto ad una riposata, e tranquilla vita. Ognuno, che s’affatica, s’affatica per la quiete, e voi non volete mai provarla? Hora siete in età, che ’ncomincia ad haver bisogno di riposo, però lasciate in disparte il gridar co’ servi, i quali come per isperienza si vede, vogliono servir male, & esser pagati bene, non lasciando i padroni senza sospetto della robba, e tallhor della vita. E pur una pazzia degli huomini, che non hanno mai un giorno di quiete per acquistar facoltà, laquale quanto più cresce, tanto più fà crescer in loro l’affanno di non scemarla. Se voi sapeste quant’è felice colui, che lontano da i tumulti populari si contenta di goder in pace le proprie sue ricchezze (che per fargli provar vero contento debbono esser tali, ch’egli non ne senta necessità, e non ne patisca invidia) certo non procurereste di vender la vostra libertà, degna tenersi più che la vita, sarà per sodisfar al volere il più delle volte (voi m’intedete) de’ Principi, e de grandi riverisco i buoni, e m’atterro. Io per me da quel giorno, che mi diedi à così gioconda vita, & à starmene quietamente alla mia Villa mi son trovato, e mi tro-


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