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D’ISABELLA ANDREINI. 136

mia vita senza colei, ch’era cagione d’ogni mia allegrezza. O Notte (incominciai) ò Notte, le cui negre tenebre son tanto all’oscura mia doglia conformi. O Notte le cui ombre son fide compagne de’ miei dolori. O Notte il cui profondo silentio è vero segretario delle mie lagrime, non mi lasciar sì tosto. Deh remanti pietosa Notte meco, e se desio di tuffarti nel Mare forse ti spinge à lasciarmi, non t’affaticar per arrivarci, essendoche senza far viaggio potrai à tua voglia bagnarti nell’Oceano del pianto mio, non richiamar il Sole, poiche troppo è contraria l’allegra sua luce à i dolenti come son’io, oltreche, se spuntar dall’Oriente il suo raggio è per benefitio de’ vivi, vana è per me la sua venuta, poich’io misero son morto nella morte della mia cara donna. Ah ben è vero, che tutti i miei piaceri cedono alla forza del martire. Gli allegri miei giorni se ne sono con la mia vita andati, & altro non m’han lasciato, che la memoria del ben passato, perch’ella mi serva per dolor presente. O dolore, che fai lamentar l’anima mia rinchiusa nel sepolcro, poiche la mia vita è consumata cessa di tormentarmi, deh non turbar la miseranda pace de’ morti, assai m’affliggesti mentr’i’ era vivo, assai mi facesti sentir i tuoi duri sproni, assai l’aspro tuo rigore provando, hò percossa, e ’mportunata l’aria con le mie querele, e pertanto pur la mia doglia mi perseguiti sin nella Tomba. Hora veggo quanto il dolce de’ piaceri sia amaro alla rimembranza, quando il cuore serbando il desio perde la speranza di più godergli, ò quanto è men male il dir io non


hò mai