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D’ISABELLA ANDREINI. 134

della mia bella donna da qual Artefice uscisti? certo egli non fu mortale, perche s’egli fosse stato mortale, quelle saette che avventano gli occhi tuoi, e quelle fiamme, ch’escono delle tue labbra, e delle tue guancie l’havrebbono piagato, & arso. Fù dunque Amore, che ti dipinse oprando gli strali in vece di pennelli, e le mie lagrime, e ’l mio sangue in vece di colori; e poich’egli t’hebbe ridotto à perfettione si partì scordandosi in te le sue fiamme, e le sue saette, ond’a me toccò poi il far penitenza del suo oblio: ma come la dipinse Amore, s’Amor è cieco? ah che più tosto la fece alcun novello Prometeo, ilqual rapito alle ruote del Sole il fuoco la dipinse, e l’animò; e certo che sarebbe impossibile, ch’io in rimirandola provassi tanta passione quanta io provo, s’ella fosse finta, perche cosa insensata non può far sentir tanti dolori, e non può una fintione usar tal violenza. O ritratto non ritratto; ma lucido specchio de’ miei pensieri. O specchio non specchio; ma vero oggetto di tutti i miei desiri. O oggetto non oggetto; ma fuoco, che m’avampi. O fuoco non fuoco; ma Sole, che mi struggi. O Sole non Sole; ma Cielo dell’anima; ma perche ti chiamo io Cielo? S’è proprio del Cielo il dar conforto, e tu mi dai tormento? ò carissima imagine, se Narciso in vece di mirar se stesso al fonte havesse te veduta, io mi rendo sicuro, ch’egli si sarebbe di maniera acceso della tua bellezza, che nulla di lui sarebbe avanzato per mutarsi in fiore. O quante volte pensando raccontar à voi stessa i miei martiri al vostro ritratto gli racconto, lui vagheggio credendo


Ll     2          vagheg-